MotoGP
2007-2017, dieci anni e dieci posizioni di differenza: Stoner batte Lorenzo
Esattamente dieci anni fa Casey Stoner fece innamorare il popolo di Ducatisti al debutto in gara. Stessa pista, dieci anni dopo e un pilota penta campione. Risultato decisamente diverso
Il 10 marzo del 2007 un pilota australiano proveniente dalla ridente Curri Curri, fece letteralmente impazzire il popolo di tifosi Ducati sparsi nei quattro angoli del globo dominando al debutto in sella alla Desmosedici. La Rossa impressionava per potenza e velocità, grazie alla interpretazione estrema del nuovo regolamento che prevedeva cilindrata massima di 800 cc. Ma è innegabile che il feeling tra Casey Stoner e quella moto, traspariva da ogni singola staccata, da ogni uscita di curva e da ogni derapata. Una simbiosi perfetta tra uomo e macchina, con l’australiano che si apprestava a scrivere una magnifica storia. Il pilota che aveva la fama di essere Rolling Stoner, assieme alla moto più difficile, cocciuta e indomabile del paddock. Oggettivamente non sembrava un binomio molto indovinato. Eppure la magia apparve chiara immediatamente, sin dai primissimi metri in sella. Questa foto è stata scattata proprio alla prima uscita dai box (ph. Andrea Imondi). E’ la gustosa anteprima di un fine settimana che sarebbe entrato nella storia.
Ecco le parole di Loris Capirossi dopo i test, uno che di piloti ne capiva e ne capisce senza dubbio tantissimo: «Casey sarà la sorpresa del campionato». Mai anticipazione fu più fondata.
Avanti dieci anni, ed eccoci nel week end del Qatar 2017, per il primo GP della stagione. La Ducati ha di certo passato anni bui dopo il saluto di Stoner, anni durante i quali si è cercato di sostituire il talento puro e cristallino del pilota australiano con tanti nomi di peso del motomondiale. Il primo ad incrociare le strade di Stoner fu Marco Melandri, che sarebbe dovuto salire sulla moto già nel 2007, ma che fu non liberato dal contratto che lo legava alla Honda. Come dire che Stoner il mondiale 2007 l’ha vinto grazie a Melandri. Nel 2008, unico anno di convivenza, Melandri fu stritolato da Casey Stoner, e cambiò aria molto presto. Dopo gli episodi del 2009 legati ai problemi di salute di Casey, le strade di Ducati e di questo campione australiano iniziarono a divergere, con la Casa di Borgo Panigale che già a quell’epoca si rivolse a Jorge Lorenzo per portarlo dalle parti di Bologna. Lasciata la Ducati, nel 2011 Stoner lasciò in eredità a Valentino Rossi una moto che aveva vinto tre gare e fatto nove podi in stagione. Tutti conoscono bene il disastro di quelle due stagioni, e la scelta di ricostruire il reparto corse per poi trovare il nome di grido a cui affidare la rinascita.
Il nome di grido è arrivato nel 2016, quando Ducati ha annunciato l’approdo di Jorge Lorenzo a Borgo Panigale, silurando di fatto Andrea Iannone, il quale non ha mai nascosto la delusione per essere stato allontanato suo malgrado. La stagione di test invernali è andata avanti, con Lorenzo mai particolarmente in sintonia con la moto, ma sempre determinato a migliorare. Il risultato del primo GP corso assieme è definibile in un unico modo: una catastrofe.
Il motivo per cui siamo così duri nel giudizio è semplice, ed è tutto nella foto di apertura di questo pezzo. La Ducati si è sempre vantata di non avere le dimensioni dei colossi nipponici che sfida sullo stesso terreno, ed ha sempre ammesso di essere consapevole che per vincere sarebbe dovuta ricorrere al massimo della intraprendenza nella ricerca e che avrebbe sempre avuto un approccio “diverso” da quello giapponese. Questa mentalità negli anni si è tradotta nel motore portante della moto di Stoner, e poi nell’aerodinamica del missile di Dovizioso e Iannone che di fatto ha costretto tutti a cambiare le regole. Dopo aver portato la moto al top nella scorsa stagione con Iannone e Dovizioso, la Ducati si sentiva pronta a puntare di nuovo su un top rider, dimenticando però la cosa più importante: quando Ducati ha vinto, non ha puntato su un top rider. Perchè la realtà è questa, e cioè che l’unico titolo mondiale portato a casa, l’ha vinto il pilota meno titolato che sia mai salito sulla Desmosedici. Casey Stoner non aveva vinto niente fino al 2007. Si era dimostrato velocissimo, ma anche estremamente fallace. Eppure salito su quella moto così diversa da tutte le altre, vinse. Subito, senza problemi.
Quando abbiamo chiesto a Paolo Ciabatti come mai si fosse deciso di puntare su Lorenzo, la risposta fu semplice: «Vogliamo vincere il mondiale, e abbiamo bisogno di un pilota che abbia già dimostrato di poterlo fare». Il ragionamento fila, però non tornano i conti se pensiamo che l’ultimo mondiale vinto, fu vinto con un sig. Nessuno, uno che aveva appunto la fama di distruggere le moto. Forse siamo precipitosi nel condannare la scelta di Jorge Lorenzo e forse con il tempo e le gare la Ducati riuscirà ad adattarsi allo spagnolo e lo spagnolo alla Ducati. Eppure la sensazione persistente è che la Ducati abbia commesso un errore, e cioè che si sia dimenticata un assioma fondamentale della sua storia: per battere i colossi, bisogna osare, giocare su terreni diversi. Senza dubbio, la Ducati lo sta facendo per quanto riguarda l’aspetto ingegneristico. Forse sarebbe stato il caso di farlo anche per quanto riguarda la scelta degli uomini. Jorge Lorenzo è un grande campione, ma in Qatar è stato asfaltato sia da Andrea Dovizioso che da Andrea Iannone, prima che quest’ultimo cadesse. Sono passati dieci anni, eppure abbiamo le sensazione che Ducati, quella lezione di Casey Stoner impartita al mondo intero, non l’abbia colta al 100%. Per vincere con una Ducati, non serve essere un campione. Basta essere il pilota giusto.