British SBK
BSB: Fucina di campioni o parco giochi per anziani?
La serie inglese BSB ha lanciato in passato un gran numero di top rider ma adesso vive un momento di profondo mutamento
Scorrendo la classifica ti viene da pensare di aver sbagliato sito. Byrne, Ellison, Brookes, Eston, Linfoot, Kyionari questi sono i sei migliori piloti del BSB (British Superbike Championship) al termine delle due prime prove. L’anagrafe recita che solo uno dei piloti di cui sopra ha meno di 30 anni e il leader è alla soglia dei 40. Se si allarga la visuale si può notare come la maggior parte dei team abbia almeno un pilota di grande esperienza e/o riciclato da campionati maggiori. Smrz, Kennedy, Parkes e il nostro Iannuzzo vanno a far compagnia a vere e proprie vecchie glorie come Walker o Rutter.
Accanto a questi vecchi marpioni, però, trovano posto giovani di belle speranze come Linfoot, Iddon o Buchan che hanno modo di misurarsi con piloti di esperienza, su piste di caratura mondiale e con moto di discreta complessità. Al di là dell’età, come mostrato da Troy Bayliss e Max Biaggi, la vita professionale ad alto livello dei piloti si è allungata sensibilmente e nel BSB si trovano, anche grazie agli sponsor, tanti buoni piloti che tengono alto il livello della competizione sia come prestazione in pista sia come capacità di messa a punto di mezzi che hanno un regolamento particolare, diverso da quello del mondiale SBK.
In questo senso, per ridurre i costi e consentire a più team di allestire moto competitive, l’organizzatore MSVR ha deciso di introdurre la centralina unica. Una scelta coraggiosa anche perché in controtendenza rispetto al dilagare dell’elettronica. La Motec M170 imposta dal regolamento, infatti, costa solo 3000 sterline ed è priva di tutti gli aiuti elettronici quali traction controll, anti weeling e lounch controll.
Questa particolarità regolamentare, unita a motori dalla limitata preparazione e monogomma Pirelli (però in versione da 16,5), ha di fatto escluso i team inglesi dalla possibilità di disputare wild card mondiali ma ha portato ad un livellamento delle prestazioni che fa sicuramente bene allo spettacolo. Kawasaki, Honda, BMW e Suzuki hanno moto decisamente valide in questa configurazione mentre per gli altri contendenti la diversa centralina ha dimostrato la bontà di un progetto senza correzioni elettroniche (vedi nuova Yamaha R1) oppure sembra penalizzare chi di questa elettronica fa largo uso sul modello di serie (Ducati). L’influenza della centralina sulla guida potrebbe inoltre anche essere la ragione per cui i piloti più attempati riescono ancora ad essere molto competitivi.
Altro aspetto sicuramente peculiare della serie inglese riguarda i tracciati. Molte delle piste sono o sono state teatro di gare mondiali. Oltre alle piste inglesi come Donnington, Silverstone o Brands Hatch, infatti, si corre anche ad Assen, ma, accanto a questi autodromi di livello, ci sono anche tracciati decisamente particolari: da Caldwell Park con il pittoresco salto a Knokhill o Brands Hatch in versione Indy ovvero piste molto corte con un giro al di sotto dei 50 secondi. Pragmatismo anglosassone?
Forse proprio qui sta la magia di questa serie: moto semplici ma spettacolari, piste difficili ma che rendono possibile il contatto con il pubblico e un clima a metà tra il professionale e la festa di paese. Una alchimia che richiama folle di motociclisti pronti ad acclamare i propri beniamini. Gente che ama vederli passare vicino, vederli impennare, scivolare e domare le moto con difficoltà, ovvero tutto quello che con gli anni abbiamo perso in nome di un presunto professionismo.
Federico Toti
twitter @federicototi