MotoGP
Pramac: la Ducati GP17 della discordia
La lotta intestina del Team Pramac per la conquista della GP17 ufficiale è iniziata. I sorrisi sono finiti, la pressione è tanta e Redding non la manda a dire a Petrucci. Un patatrac annunciato
Basta una frase estrapolata da un’intervista per comprendere la situazione attuale all’interno del Team Pramac. Per la precisione, un’intervista fatta a Scott Redding a caldo, dopo il GP di Aragon concluso al 19° posto condito da un contatto con il compagno di team Danilo Petrucci:“Danilo si è bevuto il cervello!”. Senza voler indagare sulle abitudini alimentari di Danilo, è improbabile che il pilota ternano abbia deciso di abbeverarsi della propria materia cerebrale. E’ invece decisamente plausibile che in Pramac abbiano toccato un tasto molto pericoloso.
Gestire due piloti MotoGP è una faccenda piuttosto complicata, paragonabile alla pericolosità a cui va incontro il più abile degli artificieri. Due purosangue dediti all’inseguimento della miglior performance in pista, capaci di sgomitare a 300 km/h ed inclini al duello corpo a corpo, non sono propriamente degli agnellini. Difficile gestirne la voglia di competere, difficile gestirne un carattere inevitabilmente esplosivo.
La situazione di fronte alla quale si trova Paolo Campinoti, titolare del Team Pramac, poteva sembrare una grande chance, ma potrebbe trasformarsi in un grande problema. Ancora di più di quanto non lo sia già adesso. La proposta ricevuta da parte di Ducati è semplice: gestire una moto ufficiale nel 2017 per accelerare lo sviluppo della GP17. L’applicazione è invece molto più complicata.
Se in Pramac ci fossero stati un Top Rider, ed un pilota “destinato” ad essere ingaggiato come seconda guida, la faccenda si sarebbe chiusa ancora prima di iniziare. Durante il balletto dei nomi, è stato detto più volte tra le righe dai manager Ducati, che a Iannone era stato anche proposto di restare in Ducati. A questo punto quella proposta assume contorni diversi, perchè è palese che la destinazione eventuale di Andrea Iannone sarebbe stata Pramac, squadra in cui aveva già corso due anni.
Ma in quel periodo non era dato sapere che Andrea Iannone avrebbe avuto, oltre ad una sonora riduzione dell’ingaggio, anche una moto ufficiale nel team toscano. In un caso del genere, sarebbe stato semplicissimo per il compagno di team “accettare” di condividere il box con un pilota ufficiale Ducati. L’idea forse avrebbe potuto funzionare, ma Iannone non ha accettato la riduzione d’ingaggio ed ha scelto la strada che porta ad Hamamatsu, ed alla sfida Suzuki.
La patata bollente è dunque diventata una specie di bomba nelle mani di Paolo Campinoti, perchè Scott Redding e Danilo Petrucci, sono entrambi dei grandi piloti, giovani e pieni di ambizione. E’ impensabile che uno dei due accetti che il compagno di team abbia un vantaggio tecnico evidente e la lotta a cui si è dato inizio in questo finale di stagione è davvero illogica. Se ci si mette nei panni del manager, è ovvio che la scelta fatta sia la più sensata, la più giusta e la più oggettiva. Ma con questa decisione, in Pramac hanno dimenticato che il pilota deve pensare solo a fare il pilota.
Non deve preoccuparsi di battere il proprio compagno di team, ma deve solo pensare ad ottenere il miglior risultato possibile in stagione. Il pilota non deve prendere decisioni in sella che possano compromettere il suo futuro, deve solo pensare a dare del gran gas. La gara di Aragon è stata un vero inferno, con il contatto avvenuto nel primo giro tra i due piloti e la conseguente gara rovinata per entrambi. Un clamoroso autogol che si può imputare a Danilo Petrucci per l’operatività spicciola, ma che affonda le proprie ragioni molto più in profondità.
Una decisione insindacabile presa dalla squadra, avrebbe forse fatto storcere il naso ad uno dei piloti, ma non avrebbe aperto la strada ad un confronto in pista deleterio e potenzialmente dannoso anche per il 2017. Quando nel 2002 in Honda decisero di assegnare una sola RCv-212 al Team Pons, che faceva correre Loris Capirossi e Alex Barros, la decisione di assegnare la moto al pilota brasiliano fu presa solo ed esclusivamente da Sito Pons. Il manager spagnolo utilizzò espressamente queste parole: “I piloti devono pensare a correre. Su cosa devono correre, lo decido io”.
Atteggiamento dispotico? Politica sportiva da rivedere? Il risultato fu che Loris Capirossi fece della gare semplicemente grandiose con la NSR500 prima di passare in Ducati, e Alex Barros vinse il “mundialito” contro Valentino Rossi nel finale di stagione. A volte un manager dovrebbe essere dispotico, perchè in un team lavorano tante persone. I due piloti sono parte del gioco, ma non è saggio affidare alla pista decisioni di questo tipo. Il conto da pagare potrebbe essere salato, e non parliamo solo di ricambi e carenature. Avere in un box due piloti che non si sopportano, non ha mai fatto bene a nessuno.
E non ce ne vogliano Scott Redding e Danilo Petrucci, ma il caso di Senna e Prost in McLaren metteva in scena attori di altro spessore. Ed il regista era Ron Dennis, mica fuffa.