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Giancarlo Falappa e lo sviluppo della Ducati 916

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Se c’è un pilota che più di ogni altro ha contribuito a plasmare il carattere del mito proveniente da Borgo Panigale è senza dubbio Giancarlo Falappa

In questa intervista Giancarlo Falappa, il Leone di Jesi, ci parla dello sviluppo della moto, della prima volta che l’ha guidata e di come l’ha voluta caratterizzare in maniera unica, mettendo la sua firma sul DNA della moto che ha cambiato la storia delle due ruote…

Giancarlo, la tua avventura con Ducati è iniziata nel 1990 con l’episodio leggendario della apertura dello sportello dell’auto di Lucchinelli. Puoi raccontarci che atmosfera hai trovato nel tuo primo anno in Ducati?

Il Team di Marco era scanzonato ed anche io lo ero. Ma in generale, tutto il paddock SBK nel 1990 era meno professionale. Ma non meno professionale nel senso che non si lavorasse (in effetti Giancarlo è molto più esplicito! ndr). Solo che era meno pulito, lindo e carino, meno artificiale. Era tutto molto alla mano diciamo.

Dopo il terribile incidente di Zeltweg, i medici non sapevano cosa fare per aiutarti ad uscire dal coma. In questo, sappiamo che è stato molto importante il nostro Giovanni Di Pillo. Raccontaci come la sua mitica Voice ti ha tirato fuori da quell’incubo.

E’ tutto vero. I medici hanno chiamato Giovanni Di Pillo e gli hanno chiesto di fare questo nastro da farmi ascoltare in cuffia. L’hanno fatto perché avevano chiesto ai miei genitori e alla mia fidanzata, se c’era qualcosa che mi stesse particolarmente a cuore. La risposta è stata che io parlavo solo di Ducati e di corse Superbike e che ascoltavo soltanto Di Pillo. Questo è stato basilare perché la voce di Di Pillo registrata era una voce amica, che mi parlava di Ducati e di Superbike che mi ha riportato alla vita.

Una volta tornato in sella, hai dovuto lottare per recuperare la condizione fisica accettabile. In questo ti ha aiutato il passaggio dalla 888 alla 916? Era una moto più “adatta” alla tua nuova condizione?

In realtà la moto più facile era proprio la 888, mentre la 916 era una moto molto più chirurgica, molto precisa. Però era una moto più “mia” perché io avevo fatto i collaudi nel 93 a porte chiuse a Rijieka ed al Mugello . L’avevo tirata su come volevo io, quindi me la sono costruita addosso. Invece la 888 l’avevo sviluppata ma la moto c’era già e derivava dalla 851. La mia 888 era un’evoluzione, invece la 916 era una moto completamente nuova.

Raccontaci la prima volta che hai posato lo sguardo sulla 916. L’hai vista dal vivo, oppure hai potuto vedere i disegni di Tamburini?

La prima volta che ho visto la Ducati 916 è stato dal vivo, nell’officina di Franco Farnè. Quando l’ho guardata ho sgranato gli occhi ed ho chiesto subito: “Ma cos’è sta moto qua?”. Paragonandola alla 888 mi sembrava una cosa fantascientifica. Castiglioni volle sapere cosa ne pensassi io e ho semplicemente detto che la 888 non era più competitiva dopo aver perso il Mondiale 93 vinto da Russell e dalla Kawasaki. La 888 era una splendida moto stradale adattata alle corse, mentre era palese che la 916 fosse una splendida moto da corsa adattata alla strada, ma pensata comunque tenendo d’occhio le esigenze di vendita. Doveva essere una moto accattivante, doveva colpire. Una moto come la 916 è una bellissima moto da corsa, targata.

E raccontaci anche i tuoi primi metri in sella, i tuoi pensieri e le tue sensazioni in sella a quella splendida moto.

La moto aveva una precisione incredibile. Quando entravi in curva, sembrare di fare un intervento con il bisturi tanto era precisa. Quella moto quando entravi in curva era davvero precisa come un bisturi da chirurgo, era ferma con l’anteriore perché io la volevo così. Ho sempre chiesto di caricare l’anteriore per sentire al massimo l’appoggio davanti. Il posteriore invece non doveva essere leggerissimo, ma meno pesante della 888 che a paragone era un camion.

A che punto dello sviluppo della moto sei stato coinvolto? C’è un po’ di te nel carattere leggendario della mitica ed immortale 916?

Sicuramente il feeling all’anteriore. La precisione chirurgica della moto era tutto quello che volevo per la 916. Io l’ho voluta proprio così. Ho preteso che la moto andasse esattamente dove volesse il pilota e che fosse solida e stabile all’anteriore. Poi il posteriore era comunque stabile, ma in generale si può sempre gestire di più con il freno e con il motore. Il pilota può giostrare di più con la ruota posteriore, ma se non si sente l’appoggio davanti la moto può sempre scappare e il pilota non può controllarla.

Raccontaci quale caratteristica anche della moto la rendeva in assoluto un nuovo riferimento per il mercato delle SBK replica?

Questo suo anteriore granitico e chirurgico la poneva due spanne sopra qualunque avversaria dell’epoca. Senza paragoni.

Cosa hai pensato quando a Borgo Panigale hanno presentato l’erede di questo gioiello, il brutto anatroccolo 999?

Onestamente ci rimasi un pò male, perché rimasi molto dispiaciuto dall’estetica. Perché sono convinto che la moto deve essere anche bella. La 999 andava benissimo, era un’ottima evoluzione del progetto 998. Come tutte le evoluzioni, andava meglio e non peggio della precedente. Però non era assolutamente bella come la “mia” 916.

Ti piace l’attuale gamma sportiva Ducati? Pensi che la Panigale sia una degna erede della stirpe 916?

Come concetto di moto ovviamente sono due cose completamente diverse. Ma la 916 all’epoca ha rappresentato un cambio epocale, con una linea che è durata più di dieci anni. La Panigale anche ha rappresentato un solco nella storia Ducati, ma per tracciare la stessa strada deve anche vincere oltre ad essere bellissima. Tutti i mondiali che hanno vinto le varie 916-996-998 saranno difficili da replicare.

Tu in sella alla 916 in pinna ed in piedi sulle pedane resterete per sempre un’immagine iconica della SBK. Purtroppo è anche stata la moto che ti ha costretto al ritiro per un incidente durante dei test. Dopo tanti anni prevale la rabbia oppure la soddisfazione per aver fatto parte di questa storia leggendaria?

Il team mi fece provare un cambio elettronico a pulsante perché io non riuscivo a cambiare marcia nelle curve a sinistra, a causa dei postumi della mia caduta di Zeltweg. Non piegavo più il ginocchio abbastanza e stavamo cercando una soluzione. Purtroppo un problema al cambio fu proprio la causa della mia caduta e rappresentò la fine della mia carriera. Tornando alla domanda che mi hai fatto, dico che le sensazioni che provo sono entrambe. Diciamo che la situazione è al 50% tra la rabbia e la soddisfazione. Se metto sul piatto il fatto di essere ancora ricordato e richiesto da tantissimi fan, questo mi aiuta molto ad andare avanti e mi fa stare bene. Mi dimostra che ho ancora tanti fan che dopo vent’anni mi vogliono ancora bene e io ho sempre voluto bene a loro. In questo la 916 mi ha aiutato probabilmente.

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