MotoGP
Le difficoltà di Lorenzo e Iannone? Questione di feeling
Non c’è peggior incubo per un tecnico nel momento in cui il pilota si toglie il casco e pronuncia la fatidica frase “Non ho feeling”. Iannone e Lorenzo la stanno ripetendo continuamente
Sono in tantissimi a chiedersi cosa stia succedendo ad Andrea Iannone e, soprattutto, cosa stia succedendo a Jorge Lorenzo da quando sono saliti sulle rispettive nuove moto per la stagione 2017. Entrambi i piloti, che la scorsa stagione l’avevano vissuta da protagonisti, ora arrancano spesso nelle retrovie, tra difficoltà onestamente difficili da spiegare. Nei box Ducati e Suzuki si cerca di nascondere un ovvio e comprensibile disappunto che a Borgo Panigale si è palesato con alcuni primi piani di Davide Tardozzi nei quali era evidente il suo malcontento. Mentre in Suzuki sono partite le dichiarazioni al vetriolo di Kevin Schwantz, ambasciatore e vera icona vivente del Marchio, che abbiamo letto tutti in questi giorni.
Gli obiettivi delle due Case costruttrici, nella scelta dei due piloti, erano differenti. Mentre in Ducati, dopo anni di sofferenze, si desiderava un top rider che portasse una moto finalmente matura nei primi posti della classifica mondiale, ad Hamamatsu si cercava un sostituto di Vinales che continuasse con i buoni risultati raggiunti dalla GSX RR nel corso della stagione 2016. Evidentemente entrambi gli obiettivi, in questa stagione ormai giunta al giro di boa, non sembrano raggiungibili. Perché?
Jorge Lorenzo, considerato un pilota dallo stile “pulito”, dalle traiettorie rotonde e pennellate, sembra crederci ancora e con un metodo di lavoro consolidato in anni di professionismo, tenta continuamente di adattare il suo stile di guida alle necessità della Desmosedici. Andrea Iannone, dal canto suo, ha invece recentemente rilasciato commenti sull’evidente difficoltà nel trovare il bandolo della matassa. Eppure il pilota maiorchino, durante il 2016, aveva raccolto ottimi risultati e anche Iannone, nella stessa stagione, si era spesso messo in evidenza. Anche analizzando il “fattore moto”, cambia poco. La Ducati 2016 era una buona moto e in questa stagione è migliorata ulteriormente. Le performance di Andrea Dovizioso e Danilo Petrucci lo confermano.
La Suzuki del 2016, guidata da un incredibile Maverick Vinales, aveva ottenuto risultati più che buoni, tanto da illudere tecnici e tifosi che la strada giusta fosse stata finalmente individuata e la Ducati nel 2017 ha raccolto due vittorie e tanti podi con gli altri due piloti ufficiali. Che cosa succede, allora? Escludendo l’improbabile possibilità che entrambi i piloti abbiano disimparato ad andare in moto, quali sono le cause di queste debacle?
Spesso, quando i piloti vengono intervistati, utilizzano il termine feeling. La traduzione letterale sarebbe “sensazione” e ha, in campo motociclistico, un ampio range di collocazioni. Quando un pilota rientra al box lamentando una mancanza di feeling con la moto, frequentemente risolvere il problema non è per nulla facile. Una lamentela su un freno poco modulabile, su un setting non perfetto o su un rapporto finale non corretto è facilmente gestibile concentrandosi sulla parte incriminata. Quando si parla di mancanza di feeling, tutto si complica. Fortunatamente anche un cattivo feeling, nella maggior parte dei casi, si riesce a migliorare ascoltando il pilota e confrontando le sue parole con ciò che rivela l’acquisizione dei dati. Ma se la mancanza di feeling fosse radicata nel profondo delle caratteristiche tecniche e meccaniche della moto?
Tutti coloro che sono saliti in sella più di una volta si sono resi conto che su moto facenti anche parte della stessa categoria, si provano sensazioni e confidenze differenti. Spesso succede che una moto di un amico, simile ma non uguale alla nostra, ci trasformi in novelli piloti o, al contrario, ci faccia sentire dei perfetti incapaci. Situazioni non lontane da questa possono accadere anche ai professionisti. Un caso eccellente, simile a ciò che sta succedendo oggi a Lorenzo e a Iannone, è successo qualche anno fa in Superbike.
Nel 2009, alla guida della R1 SBK, si presentò Ben Spies. Le aspettative su di lui erano altissime. Ben aveva battuto, a pari moto, Matt Mladin nel campionato AMA Superbike. Chi all’epoca masticava un po’ il campionato americano sapeva benissimo che per mettersi alle spalle Mladin dovevi essere veramente un mago. C’erano però anche diverse incognite: Spies non conosceva la Yamaha, non conosceva le gomme e, soprattutto, non conosceva le piste. I dubbi sulle sue inesperienze furono spazzati via dalle sette Superpole conquistate nelle prime sette gare, da undici vittorie nelle prime venti manche e dalla conquista del titolo al suo anno di debutto, battendo un Haga in gran forma sulla Ducati 1198 ereditata da Bayliss.
L’anno successivo Spies decise di passare in MotoGp. In SBK la R1 era la moto da battere e in Yamaha puntarono su James Toseland, due volte campione del mondo con due moto diversissime tra di loro: Ducati nel 2004 e Honda nel 2007. Al contrario di ogni aspettativa, Toseland nel 2010 non conquistò nessuna Superpole e non vinse alcuna gara. Chiuse una stagione in ombra con soli quattro podi e il nono posto in classifica generale, persino dietro al suo compagno di squadra, un giovanissimo Cal Crutchlow. Appurato che Toseland fosse un eccellente pilota, possiamo forse affermare che la Yamaha non fosse quindi questa gran moto e il merito dei successi del 2009 fosse frutto solo delle capacità di guida di Spies? Non credo. Se così fosse stato, Ben avrebbe probabilmente raccolto risultati migliori anche in MotoGp.
Un’altra possibilità è giudicare il James Toseland del 2010 un pilota completamente smarrito. Sono certo di poter escludere anche questo. Credo che la verità stia nel mezzo: la R1 era si una moto competitiva, ma aveva raggiunto con Ben Spies il suo matrimonio perfetto. Ben e la Yamaha avevano instaurato un feeling che, purtroppo, Toseland non trovò mai.
Nella stagione MotoGp 2016, il connubio Vinales-Suzuki ha funzionato in modo molto simile al rapporto tra Spies e la sua Yamaha. Una moto competitiva e un pilota eccellente che, insieme, avevano trovato il perfetto equilibrio. Un equilibrio che Andrea Iannone e Jorge Lorenzo, ottimi piloti in sella a due ottime moto, non hanno ancora trovato.