La morte è una delle opzioni che devono essere tenute in conto quando si comincia uno sport di velocità, ma quando a morire è un giovane che ancora stava cercando di realizzare il suo sogno è difficile scendere a patti con la realtà.
Ne sa qualcosa Paolo Simoncelli, che in pista ha perso un figlio di 24 anni, e che ha commentato in maniera dura quanto accaduto in questo weekend a Jerez: «Questi ragazzi inseguono un sogno. Come puoi fermarli? – ha detto a Repubblica – Vorrei dirvi che è tutto sbagliato, che non era giusto farlo correre: ma vi mentirei, perché non è così. Era poco più di un bambino, aveva 15 anni ma voleva fortissimamente diventare un campione. Ed era pronto a dare tutto, per riuscirci. Questi sono i motori, la velocità. Risparmiatemi il resto: la retorica delle parole, dei giudizi. Chi non conosce questo mondo, è meglio non parli».
A proposito delle polemiche relative alla mancata sospensione di Gara 2, Simoncelli è chiaro: «Non voglio provocare nessuno, dico la verità: se deraglia un treno, non fermiamo le ferrovie. E così se cade un aereo. Non cercate a tutti i costi un colpevole. Perché queste sono cose che succedono. Possono accadere anche a noi, che ci mettiamo al volante ogni giorno. Il motociclismo risponde a un istinto naturale. Quello di correre. Di andare più veloce degli altri».
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