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MotoGP, ordini di scuderia: esiste un regolamento in merito?

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A cinque gare dal termine tre piloti di tre case diverse ancora in lotta per il titolo e ad appena 16 punti. Molto probabili gli ordini di squadra e il regolamento non li vieta

Marc Marquez di Honda Repsol, Andrea Dovizioso di Ducati e Maverick Vinales di Yamaha factory. Questi sono i tre piloti ancora in piena corsa per il titolo Mondiale quando mancano solo cinque gare al termine, racchiusi in appena 16 punti. Tre uomini per tre costruttori, i team ufficiali più forti, le cui seconde guide si fatica a chiamarle tali: parliamo di Dani Pedrosa, Valentino Rossi e Jorge Lorenzo, tutti campioni del Mondo, tutti corridori abituati anche loro a competere per vincere, tutti protagonisti della MotoGP che vediamo battagliare nelle prime posizioni in ogni Gran Premio. Motivazioni valide per pensare che nel finale di questo campionato, il più aperto e combattuto di sempre, e di cui ci siamo sforzati di non considerare ancora candidati alla vittoria Rossi e Pedrosa (entrambi vincitori di gare e rispettivamente 4° e 5° in classifica), si potrebbe assistere a dei giochi di squadra decisivi ad opera delle case coinvolte. Aziende importanti, mosse da interessi notevoli, e che potrebbero anche riuscire a far prevalere le proprie volontà di successo su quelle individuali ed egoistiche dei loro top-rider, affamati di gloria e solitamente acerrimi rivali anche coi vicini di box se necessario, quindi poco propensi ad aiutare il prossimo. Le parole di Lorenzo per Ducati in tal senso sembrano un preavviso. Leggi anche: Assegnazione punti MotoGP

IL CODICE 1.21.2: COME LA FIM SI “LAVA LE MANI” DELLA QUESTIONE – A dirla tutta, come dargli torto dato che il motociclismo è uno sport in singolo. Eppure i precedenti e le mosse strategicamente studiate non sono mancati nella storia di questo sport quando in palio c’erano punti pesanti come quelli di un finale di stagione, creando non poche contraddizioni e controversie al riguardo. Dibattiti che hanno lasciato interdetti anche coloro che hanno il potere di dettare le regole, i quali hanno così preferito “lavarsene le mani” senza scrivere norme che esplicitamente e specificatamente vietino ai piloti di aiutare (od ostacolare, a seconda dei punti di vista) un collega. La FIM, la Federazione Internazionale di Motociclismo, si “nasconde” sulla questione dietro al generico codice 1.21.2, che recita: «I piloti devono guidare in modo responsabile, che non provochi pericoli per altri concorrenti o partecipanti, sia sulla pista che sulla pitlane. Ogni violazione di questa regola può essere penalizzata dai FIM MotoGP Stewards».

I CASI DI RALLENTAMENTO AD UN ALTRO PILOTA: ROSSI-MARQUEZ A SEPANG – Questo comportamento lo vediamo spesso tirato in ballo dai giudici nelle qualifiche di Moto3 per ammonire e talvolta punire chi, nell’attesa di moto più veloci che aprano la strada facendo “scia aerodinamica”, compie giri più lenti del 107% del miglior tempo: un parametro numerico stabilito a tavolino come unico metro di misura possibile per capire se un corridore non sta spingendo al massimo, guidando quindi in maniera eccessivamente lenta per un campionato di velocità e rappresentando un rischio per l’incolumità altrui. La stessa cosa accade anche nelle altre categorie, certo. Per esempio in MotoGP Valentino Rossi accusò Marc Marquez di star tentando proprio il suo rallentamento nel Gran Premio di Malesia che li vide coinvolti in un diverbio fisico in pista, anche se in quella circostanza la commissione non certificò le considerazioni dell’italiano come attendibili e punì solo lui per il gesto di reazione. Tuttavia tornando all’altro risvolto della medaglia, ossia quando c’è un tentativo di supporto ad un secondo pilota, varrebbe la stessa legge, ma, ed è importante quindi sottolinearlo per capire fino in fondo la situazione, solo ed esclusivamente se le manovre (come lasciar passare il proprio compagno) diventino pericolose per un incidente.

L’ASSURDITA’ DI UNA REGOLA CHE INCITA LA SLEALTA’ PIUTTOSTO CHE IL FAIR PLAY – In sunto: non importa se in MotoGP ci sono ordini di squadra e azioni intenzionali nel perdere una posizione, o perfino nell’infastidire un avversario, che falsano di fatto il risultato sportivo di una corsa e il merito di chi arriva davanti, basta che nessuno si faccia male. Come se durante i sorpassi “normali” non ci fosse solitamente il pericolo per l’incolumità di un pilota. Come se in uno sport professionistico anziché promuovere il fair-play, fosse ammissibile non essere leali. Tipo un “liberi di fare quello che volete, ma senza esagerare”. Il regolamento del Motomondiale lascia ancora una volta perplessi e scandalizzati dalle gravi lacune che presenta, non all’altezza di una massima competizione di livello intercontinentale. Non meravigliamoci poi se una bella ed entusiasmante lotta per il titolo come quella attuale (ma come fu anche quello del 2015, salvo poi scemare nella negatività) si conclude distillando astio tra piloti e tifoserie anziché gioia, e con l’aria di brutti retro-pensieri di puro complottismo. Chi è causa dei propri mali pianga sé stesso, cara MotoGP.

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