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Quale futuro per la Moto2?

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La storia della Moto2 può essere scelta come caso esemplare di una formula decisa su basi politico-commerciali anziché tecniche

La Moto2 fu imposta in sostituzione della leggendaria 250, una classe che per diversi anni arrivò a rivaleggiare in popolarità con la classe 500, quando in sella alle “quarto di litro” correvano piloti come Spencer, Lavado, Rossi, Biaggi, Cadalora, Capirossi, Kocinski e Mamola, giusto per citarne alcuni.

La decisione di cancellare la 250 fu presa da Espeleta sulla base del fatto che le moto costavano troppo e che il campionato era ormai un monomarca Aprilia – anche se l’ultimo Campione del Mondo della 250 fu nel 2009 Aoyama su Honda.

Una storia che somigliava tremendamente alla cancellazione della 125 due cilindri, decisa dalla FIM nel 1987 e che vissi di persona, essendo il delegato italiano in seno alla Commissione Tecnica della FIM. Anche allora gli argomenti dei nostri avversari furono gli stessi: costi eccessivi delle moto e partecipazione della sola MBA al Campionato Mondiale.

Sarà un caso, ma entrambe le volte c’era una piccola marca italiana in posizione di preminenza ed alla fine dei giochi ci fu la più grande casa mondiale (la Honda) che si prese tutto il piatto, senza doversi impegnare a conquistare il mercato delle moto in pista e soprattutto senza che i costi per i team scendessero, tutt’altro.

Perché – sia ben chiaro – quando una formula viene sostituita, tutte le moto e le parti di ricambio hanno un crollo del loro valore economico e diventano merce giusto per appassionati, con una perdita secca per il team che le aveva acquistate. Inoltre le formule “economiche” introdotte si sono rilevate purtroppo più impegnative dal punto di vista dei costi. Nella 125 monocilindrica abbiamo visto l’introduzione dei famosi kit “A” e “B” a prezzi non certo popolari, mentre ben più eclatante è stato quello che è avvenuto nella Moto 2.

Ma torniamo alla nostra storia e a quando fu presa la decisione di cancellare la classe 250. Dietro a questa mossa vi era anche la politica della Honda, fanaticamente avversaria del motore due tempi. Allora la decisione della Honda trovò un’accoglienza molto tiepida tra gli altri costruttori giapponesi, anche perché erano i tempi in cui Kawasaki e Suzuki erano sul punto di abbandonare la MotoGP che stava rilevandosi un buco nero per le finanze aziendali.

Realizzare nuove moto quattro tempi per la Moto2 avrebbe richiesto tempi e risorse non congruenti con la situazione del mercato, ben sapendo che la competitività sportiva tra le case avrebbe portato ad un crescendo di costi paragonabile a quello della MotoGP. Con una decisione sorprendente dal punto di vista sportivo, si decise quindi di ricorrere ad un monofornitore.

La Honda non voleva intervenire in prima persona, ma trovò un muro di gomma da parte degli altri costruttori giapponesi, niente affatto entusiasti di impegnarsi. Per anni sono circolate voci di un’inutile opera di convincimento da parte della Honda nei riguardi della Kawasaki, a quei tempi impegnata nello svincolarsi dalla MotoGP.

Fatto sta che tutti i tentativi da parte di Honda di far entrare un costruttore giapponese fallirono. Il tempo però passava e ci si ritrovò con il classico cerino in mano. Una serie di avvenimenti che portò la Honda ad impegnarsi direttamente nella fornitura dei motori proponendo, per accorciare i tempi, un motore che altro non era che il 600 stradale con la sola testa “racing”.

Queste vicende e la tradizionale serietà Honda di dare motori “a prova di bomba” sono la spiegazione di uno dei problemi principali della Moto2: una potenza plafonata sotto i 130 Cv! Con una simile “cavalleria” si corre in Superstock 600 nel Campionato europeo destinato ai piloti emergenti e si fatica ad emergere in Supersport, dove le potenze si aggirano attualmente sui 140 Cv.

Del resto una formula monomarca è sinonimo di staticità: non ci sono stimoli per progredire e tutti gli sforzi vengono fatti per assicurare l’uniformità delle prestazioni. Così la Moto2, a sei anni dalla sua introduzione, non dimostra di evolversi nella parte motoristica.

Altro limite risiede nell’elettronica: la centralina unica della Moto2 permette di contenere i costi, ma non consente ai piloti di evolversi, mentre oramai – per lo sviluppo delle capacità di guida di un pilota e per la sua capacità di sfruttamento totale del mezzo meccanico – è diventato indispensabile saper gestire le innumerevoli possibilità offerte dall’elettronica.

Nelle corse motociclistiche avviene quello che accade nell’aeronautica militare: un aereo da caccia di quarta o quinta generazione per essere sfruttato richiede tempi lunghissimi di addestramento al fine di utilizzare tutte le diavolerie elettroniche, per questo i nuovi aerei addestratori si distinguono dai precedenti non tanto per le migliori prestazioni dinamiche (velocità, maneggevolezza) ma per la completezza della loro suite elettronica, che consente al neo pilota di familiarizzarsi con essa prima di passare all’aereo di prima linea.

Così nel motociclismo da corsa l’impatto del pilota con le centraline delle MotoGP o Superbike richiede che le classi minori (Moto2 e Supersport) offrano già uno scenario di una certa complessità, pena una difficoltà di adattamento nel passaggio alla categoria superiore.

In questo caso la Moto2 ha i suoi limiti ed il passaggio di Miller direttamente dalla Moto3 alla MotoGp è stato citato come esempio di questo problema, essendo l’elettronica delle Moto3 più evoluta di quella delle Moto2.

La decisione del legislatore di adottare una formula monomarca per i motori ha poi portato ad un altro serio limite: la mancanza in pista di brand familiari al pubblico. Certamente per lo sport motociclistico in generale è stato un notevole vantaggio avere una formula di gara dove potessero competere i telaisti: si è data così la possibilità a piccoli costruttori come Kalex, Suter, Speed Up e Tech 3 di crescere ed affermarsi.

Però i piccoli costruttori sopravvivono con grande sacrificio e nessuno di loro può permettersi le politiche di supporto ai team che possono avere i grandi costruttori. Così nella Moto2 tutto si paga, a partire dai motori, mentre gli sponsor tecnici non sono pronti ad allargare i cordoni della borsa come farebbero di fronte ad una moto Honda o Ducati. Tutto questo porta ad un appesantimento dei budget dei team.

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