Superbike
SBK Aragon, il dominio delle Kawasaki ufficiali è finito?
Tutto pronto in Spagna per la prima tappa europea del Mondiale SBK 2018. Restano tanti quesiti a cui rispondere e questi sono i più importanti che potrebbe essere risolti ad Aragon
Le prime due tappe del mondiale SBK hanno lasciato moltissime domande aperte nella mente degli appassionati. Il nuovo regolamento ha senza dubbio alterato i valori in campo, ma da quello che si è visto ha anche penalizzato in modo eccessivo qualcuno avvantaggiando qualcun altro. Il dominatore delle ultime tre stagioni Jonathan Rea, sta senza dubbio soffrendo e la Kawasaki ha perso moltissime delle frecce che erano presenti nelle faretre dei suoi piloti. Poi c’è la Ducati Panigale, che sembrava poter soffrire moltissimo di questa configurazione e invece sembra competitiva come non mai nelle stagioni passate e c’è ovviamente da capire se la crescita della Honda e di Camier possano in qualche modo proiettare il binomio nelle zone nobili della classifica.
Il dominio delle Kawasaki ufficiali è finito?
Questa è una delle certezze emerse sia a Phillip Island che a Buriram: la Kawasaki non è più la moto da battere. La Ninjona è ancora una moto efficacissima, ma ha perso l’incredibile vantaggio che nelle ultime tre stagioni ha di fatto reso una formalità per Rea assicurarsi il titolo. La ZX-10rr non ha più la velocità di punta più alta ed è soprattutto la gestibilità della potenza che è cambiato, rendendo meno “gentile” con le gomme la moto di Akashi e costringendo Rea e Sykes ad una guida molto diversa rispetto a quella del passato. Probabilmente ci sarà ancora da lavorare ed adattarsi alla situazione e la configurazione di Aragon potrebbe confermare che la Kawasaki non è più la migliore moto in griglia. La pista spagnola è sempre stato terreno di caccia perfetto per la coppia Davies – Panigale, e incassare una sconfitta qui potrebbe essere una conferma che il 2018 sia destinata a diventare una stagione molto dura per il campione e il vice campione in carica.
La Panigale V2 può vincere il titolo alla sua ultima stagione di gare
Marco Melandri ci aveva confidato in una intervista di qualche mese fa che la Ducati ha lavorato moltissimo sulla moto, nonostante questo fosse l’ultimo anno per la bicilindrica in attesa del debutto in gara della V4. La Casa di Borgo Panigale ha vinto almeno un titolo con ogni singolo modello schierato in gara in SBK e non riuscire a mantenere viva la tradizione con la Panigale V2 sarebbe una vera onta per gli ingegneri di Bologna. Il 2018 è la stagione di transizione tra passato e futuro, e per quello che abbiamo visto sia in Australia che in Thailandia, la moto italiana non risulta penalizzata dal regolamento. La doppietta di Melandri a Phillip Island e la vittoria di Davies a Buriram nella seconda frazione, dimostrano che la strada è quella giusta. C’è anche un feeling del tutto particolare tra Chaz Davies e la pista di Aragon, che potrebbe letteralmente lanciare in orbita le quotazioni nel mondiale del britannico. Un’eventuale doppietta della Panigale in Spagna sarebbe un’ulteriore conferma che questa moto può conquistare almeno un titolo SBK e entrare nello stesso mito in cui già sono la varie declinazioni bicilindriche 888, 916, 999 e 1098.
Honda e Camier sono una coppia vincente
Leon Camier è il principale indiziato per la competitività ritrovata dalla Honda CBR dopo il disastro targato 2017. La tragedia di Nicky Hayden aveva inferto un colpo terribile a tutto il processo di sviluppo della moto, e l’apparentemente totale disinteresse di HRC per il lavoro di Ten Kate in SBK di certo non aiuta. Il colosso di Tokyo sembra molto più interessato a vincere la 8 Ore di Suzuka, tanto da schierare nel 2018 una squadra ufficialissima, che di tornare a vincere in SBK come ai tempi di Edwards e dopo Toseland. Il titolo manca da oltre dieci anni, ma almeno adesso la salita appare meno ripida. Camier è un talento incredibile, come già dimostrato nei suoi anni in sella alla MV F4. Adesso si dovrà solo sciogliere definitivamente il nodo relativo all’elettronica e finalmente si potrà comprendere se questa coppia può avere ambizioni da vittoria nel breve o almeno nel medio termine. Nelle prime due tappe abbiamo visto la CBR vicino ai migliori, adesso è il momento per lo step definitivo.
Orgoglio tutto italiano per l’Aprilia
L’infortunio di Eugene Laverty ha aperto le porte a Davide Giugliano per il ritorno in gara nel 2018 in SBK. Il rider torna a correre su una RSV4, moto con la quale ha raccolto nel 2013, il miglior risultato di classifica generale in campionato. All’epoca Giugliano era un pilota Althea, ed appariva chiaro che le caratteristiche della moto di Noale si sposassero bene con il suo stile di guida. La RSV4 è cambiata moltissimo in questi anni, ma il DNA della moto è probabilmente ancora lo stesso che tanto piaceva a Giugliano. L’italiano troverà nell’altra metà del box l’altro italiano Lorenzo Savadori, dunque Aprilia parlerà esclusivamente italiano almeno per i prossimi due round. Giugliano ha una grande chance per mettere in mostra tutto il proprio talento e dimostrare che merita una sella ufficiale in SBK in pianta stabile.
Piloti e team privati: sempre più lontani, sempre più importanti
Nei giorni successivi alla tappa di Buriram, diversi manager di Team privati hanno manifestato il proprio malcontento con forza per la situazione che stanno vivendo nel 2018. Il nuovo regolamento avrebbe dovuto avvicinare le prestazioni dei Team Factory a quelle dei privati, ma di fatto sembra che questo solco sia sempre più profondo. Le squadra ufficiali hanno speso molti soldi per non perdere competitività con le proprie moto in configurazione 2018, mentre i team privati non hanno potuto rispondere a questo step non avendo le stesse risorse per fare sviluppo sulle proprie moto. Una SBK con pochissime moto in griglia è la dimostrazione che qualcosa di grosso non funziona e il rischio è che il numero di partecipanti sia destinato ad assottigliarsi sempre di più. Per correre oggi servono tanti soldi, con la consapevolezza che un pilota pagante sarà sempre più gradito di uno ricco di talento. E’ un sistema malato, che deve cambiare per garantire un futuro sereno ad una categoria che ancora oggi ha moltissimi appassionati in tutto il mondo.