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La scalata all’Everest di Marquez

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La vera scalata di Marquez nella MotoGP 2015 è la crescita di un uomo e la ricerca della maturità del pilota

Anno 2006: periodo d’oro dell’epoca Valentiniana. Rossi arriva da un biennio di meraviglie, su una moto che ormai è sua, gli appartiene. La M1 gialla con il 46 sul cupolino è destinata a dominare il Mondiale. Il nemico storico Biaggi non è in griglia, Pedrosa è appena arrivato dalla 250 e Melandri ha un talento immenso, ma non ha credibilità come sfidante di Valentino. Siamo a Jerez. Pronti via e Valentino va giù. Mondiale partito storto e finito nello stesso modo.

Tutti ricordano Valencia, Troy Bayliss che scrive una pagina epica di sport, venendo a suonarle al mondo della MotoGP da campione in carica SBK. Tutti ricordano la moto gialla che lentamente scivola in una curva in salita a sinistra, tra l’incredulità di tutti i presenti. Valentino era arrivato a Valencia con 8 punti di vantaggio, mentre in estate ne aveva 51 da recuperare al mediano Hayden. La determinazione di Rossi ed il patatrac di Estoril avevano reso possibile una rimonta all’apparenza impossibile. Rossi ha scalato l’Everest ed è arrivato a pochi metri dalla vetta. Ma si è fermato prima di completare l’opera. Sfortuna. Destino. Di tutto un po’.

Qatar 2015. Pronti via ed ho un dejà vu. Il Mondiale di Marquez parte veramente male. Spinto fuori traiettoria alla prima curva, tenta una rimonta mentre gli avversari scappano. Proprio lui che doveva mangiarsi tutti, alla fine prende una bella batosta dall’immortale Valentino e dalle Ducati finalmente tonicissime. In Texas, Marc suona la carica e mette in chiaro che è ancora lui il pilota da battere. Ma la carica dura poco perché arriva l’Argentina. E in Argentina si sa che il numero 10 lo conoscono molto bene. Se nelle moto c’è un pilota che più di ogni altro incarna quel numero magico, è proprio Valentino. Lezione di guida, lezione di talento ma soprattutto lezione di umiltà. Marquez non vuole accettare di essere passato, spinge troppo e fa una sciocchezza. Come un portiere che subisce un tunnel da Maradona. Resta fregato e va giù mentre Maradona esulta per il goal segnato.

Si arriva in Europa, sulla cara ed amatissima Jerez. La gara scorre via tranquilla, dominata da Jorge Lorenzo. Il casco gli resta in testa senza scollarsi, la febbre non lo stende e lui ricorda al mondo perché si era guadagnato il soprannome “Martillo”. Marquez sfida la fisica in tutte le staccate di ogni singolo giro. Ma deve accontentarsi, non può vincere.

Dalla Spagna si va in Francia e a Le Mans tutti si aspettano la riscossa. Titoloni sui giornali, ironia nella conferenza stampa. Ma la gara parte e Martillo offre il replay. Valentino va fortissimo e salva la gara con un secondo posto che vale oro dopo qualifiche “opache”. Marquez non sale neanche sul podio ma ci regala un duello epico con Iannone. Dopo succede l’inimmaginabile.

Arriviamo al Mugello, una pista per gente con gli attributi. Una pista che premia il pilota, che permette al talento di emergere. Emerge il talento cristallino di Lorenzo. Emerge la tenacia di Iannone. Emerge la caparbietà di Valentino, deciso a salire su quel podio a tutti i costi. Anche Marquez emerge ma dalla ghiaia. Per tutta la gara cerca di tenere un passo che non può tenere e alla fine paga dazio. Zero punti e rabbia vera.

Ma per fortuna, si torna in Spagna al Montmelo di Barcellona. La fortuna di essere un pilota spagnolo, in un mondiale organizzato da un promoter spagnolo, è che spesso corri in casa, visto che si fanno gare in ogni angolo della Spagna. Ma questa è un’altra storia.

Lorenzo semina il panico e vince alla prima curva. Ma tutti osservano Marquez. Questa è la volta buona. Finalmente ci possiamo divertire. Finalmente ci sarà un duello vero. Ma neanche il tempo di finire i nostri pensieri ed illuderci di stare per vivere un duello incredibile che Marquez si mette di nuovo a fare i castelli di sabbia. Di nuovo zero punti. Ho apprezzato molto che non abbia steso anche Lorenzo. Si vede che aveva un secchiello solo nel sottosella della sua Rcv213.

A questo punto sono passate sette gare e il distacco dalla vetta è salito fino a 69 punti. Ecco l’Everest. Ecco la montagna da scalare. Mancano undici gare e in palio di punti ce ne sono 275. L’impresa è ancora possibile? Quasi a pari punti, in testa alla classifica ci sono due piloti che non cadono praticamente mai.

La domanda vera che mi faccio, non è relativa ai punti. Il vero Everest io lo vedo da un’altra parte. La vera scalata di Marquez, deve essere quella di passare dallo stato di “talento immenso” a quello di “campione immenso”. Ed è un passaggio davvero difficile da realizzare. Forse tutti amiamo Marquez per i sorpassi impossibili, per le traiettorie incredibili e per quelle staccate in cui la moto punta ad ovest mentre la curva si trova a sud. E a volte gira verso nord. Lo amiamo perché sfida la fisica, piegando oltre il piegabile. Lo amiamo perché ci prova sempre.

Ma un pilota del suo calibro, non dovrebbe correre per l’amore dei suoi tifosi. Dovrebbe correre per ottenere sempre il massimo dalla sua moto. Si dovrebbe impegnare per ripagare gli sforzi di tutti i ragazzi del Team, che cercano sempre di mettergli a disposizione una moto vincente. Parliamo pur sempre di un ragazzo di 22 anni e non si può pretendere la luna. Tuttavia credo che alla Repsol ed alla Honda farebbe piacere vederlo una volta in più sul podio ed una volta in meno sulla sabbia. Dopotutto è un professionista ed è pagato per questo.

Io vedo nell’Everest di Marquez la crescita di un uomo. E’ questo l’unico ostacolo tra lo spagnolo ed una possibile rimonta al Mondiale 2015. Non si tratta di punti. Non si tratta di statistiche. Certo la matematica non aiuta quando devi recuperare tanti punti da quei due cannibali vestiti di Blue Yamaha. Ma il vero bivio che sta davanti a Marquez è questo: restare follemente aggressivo e magicamente fallace, oppure aggiungere alla ricetta maturità, concretezza ed un pizzico di saggezza?

Spero a Valencia di vederlo a pochi punti dal capofila del Mondiale, in una finale dei Mondiali ai rigori. A quel punto vedremo se può indossare la maglia numero 10 e calciare quello decisivo. Non si tratterà di segnare o sbagliare. Già il solo fatto di tirarlo quel rigore, significherà averla scalata quella montagna.

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