
Rischi anche in bicicletta - www.MotoriNews24.com
Se sei ubriaco in bicicletta, è finita. E non è tutto: non serve nemmeno il palloncino, per punirti.
La recente sentenza della Cassazione ha acceso un dibattito significativo riguardo alla guida in stato di ebbrezza, estendendo le sue conseguenze anche ai ciclisti. Questo messaggio sottolinea che anche chi si muove su due ruote deve rispettare le stesse normative di sicurezza stradale degli automobilisti. La decisione ha suscitato scalpore, poiché l’uso della bicicletta è spesso considerato un’alternativa più sana e sostenibile rispetto all’auto. Tuttavia, ora i ciclisti si trovano a dover affrontare punizioni severe in caso di infrazioni legate all’alcol.
Un caso emblematico è quello di un insegnante precario di Genova. Dopo una serata trascorsa con amici per un aperitivo, ha deciso di tornare a casa in bicicletta. Un controllo di routine da parte dei vigili urbani ha cambiato drasticamente il corso della sua serata: l’alcoltest ha rivelato un tasso alcolemico superiore ai limiti consentiti, portando a una multa di 1.100 euro e a una condanna di 60 giorni di reclusione, successivamente convertita in 130 ore di lavori socialmente utili. Questo episodio dimostra che il semplice atto di pedalare non esenta i ciclisti dalle responsabilità legate al consumo di alcol.
In base alla legislazione italiana, i ciclisti sono tenuti a rispettare il Codice della Strada, che include il divieto di circolare in stato di ebbrezza. La Cassazione ha ribadito che le sanzioni per i ciclisti sono simili a quelle degli automobilisti. Le conseguenze legali per chi si mette in sella dopo aver bevuto possono essere severe, e la normativa prevede:
- Sanzioni amministrative a partire da un tasso alcolemico di 0,5 g/l.
- Guida in stato di ebbrezza considerata un reato a partire da 0,8 g/l.
Non serve nemmeno l’alcool test: ti levano la bicicletta!
Un aspetto rilevante emerso dalla sentenza è che l’alcoltest non è più l’unico strumento per accertare lo stato di ebbrezza. La Cassazione ha chiarito che anche senza un test positivo, gli agenti possono basarsi su “elementi obiettivi e sintomatici” per stabilire se un ciclista è in stato di ebbrezza. Questi elementi possono includere comportamenti evidenti di alterazione, come:
- Difficoltà a mantenere l’equilibrio.
- Linguaggio confuso.
Questi segnali possono essere utilizzati come prova dalle forze dell’ordine.

Questa interpretazione ha suscitato opinioni contrastanti. Da un lato, esperti di diritto e sostenitori della sicurezza stradale applaudono la decisione, ritenendola necessaria per ridurre gli incidenti causati dall’alcol. Dall’altro, ci sono preoccupazioni sulla possibile soggettività nell’applicazione di queste norme, che potrebbe portare a sanzioni ingiuste per ciclisti che non si trovano in uno stato di ubriachezza, ma sono stati semplicemente mal interpretati dagli agenti.
Inoltre, la sentenza ha sollevato interrogativi sulla cultura della mobilità in Italia. Se da un lato si promuove l’uso della bicicletta come alternativa ecologica, dall’altro si rischia di scoraggiare questa pratica se i ciclisti temono sanzioni severe. È essenziale trovare un equilibrio tra la sicurezza stradale e la promozione di stili di vita più sostenibili, creando un ambiente in cui le persone possano godere della bicicletta senza il timore di pesanti conseguenze legali.
Il dibattito è aperto e le nuove normative potrebbero richiedere ulteriori chiarimenti e modifiche per garantire che la sicurezza stradale sia mantenuta senza compromettere l’adozione di mezzi di trasporto più ecologici. Il caso dell’insegnante genovese rimane un esempio emblematico delle sfide che i ciclisti devono affrontare e della necessità di una comunicazione chiara riguardo alle leggi in vigore.