MotoGP
Tito Rabat e la fretta di essere al top
L’arrivo di Marc Marquez in MotoGP ha cambiato per sempre le regole del gioco, e piloti come Tito Rabat ne pagano il prezzo. I manager vogliono tutto e subito, ma è giusto avere fretta e trasmetterla ai piloti?
Chiunque guidi una MotoGP ha un talento smisurato. Chiunque salga in sella ad uno di quei bolidi va veloce, velocissimo. I piloti del motomondiale sono dei marziani, indubbiamente. Talvolta però le scommesse si rivelano una sconfitta perché la verità è che non tutti i salti di categoria riescono bene. Per vincere questa scommessa non serve diventare Rossi, Marquez o Lorenzo, basta migliorare gara dopo gara, dimostrare una crescita.
Il punto forse è che ogni categoria dovrebbe essere si propedeutica per le altre, ma anche godere di uno stato proprio che faccia dire ai piloti e ai team, con molta serenità: sono competitivo quindi rimango dove sono. Esattamente come avveniva in passato quando i piloti replicavano la vittoria del titolo in 125, 250 e 350 più volte prima di fare il salto nella top class.
Affrontando questo argomento l’attenzione non può che andare su Tito Rabat, in MotoGP da questa stagione ma senza mai diventarne protagonista. Lo spagnolo non ha ancora trovato il feeling con la moto e con la categoria. In Moto2 è sempre stato competitivo tanto da vincere nel 2014 e di lottare la stagione successiva con gare serrate e sempre vissute da protagonista. Ma il passaggio in MotoGP non è stato altrettanto soddisfacente.
@MARC VDS TEAMTito Rabat guida una Honda del team Marc VDS, nel ruolo di compagno di squadra di Jack Miller. L’australiano è un’altra scommessa che però ha portato alla soddisfazione di una vittoria ad Assen e che ha iniziato un percorso di crescita dopo un periodo difficile dovuto al salto diretto dalla Moto3 senza passare per alcuna categoria intermedia.
Salire alla categoria superiore è l’obiettivo di tutti, ma non tutti sono predestinati a farlo con successo. Alcuni piloti mostrano un talento straordinario che pian piano sembra affievolirsi e rimangono nelle retrovie senza mai un guizzo, un momento che faccia pensare che qualcosa cambierà. Il pilota spagnolo rimarrà nella classe regina anche nel 2017 e le cose potrebbero cambiare ma perché non tornare indietro a gareggiare per le posizioni che contano in una categoria dove sarebbe in grado di dire ancora la sua?
Tito Rabat non è certo il solo a non aver raccolto ciò che voleva col passaggio in MotoGP. Lo stesso si può dire di Danny Kent che dopo la vittoria in Moto3 nel 2015 quest’anno sta facendo fatica nella classe intermedia, dove tra le altre cose il pilota inglese aveva già corso qualche anno fa per poi tornare indietro con una maggiore maturità che gli è valsa il titolo Mondiale del 2015 in Moto3.
@RED BULL MEDIA HOUSEStesso discorso per Sandro Cortese e il suo arrembante talento in 125. Una voglia di vincere quasi viscerale che si è via via affievolita col passaggio in Moto2. Eppure non è certo il talento che si spegne da un anno ad altro in questi piloti, si potrebbe dire che è l’attitudine alla nuova moto, ai nuovi ritmi di lavoro, agli allenamenti, al peso, alle gomme, alla pressione.
Vincere in MotoGP è una somma di fattori, eventi che devono combaciare tra loro in un perfetto meccanismo, non basta il talento. La storia delle corse è piena di ottimi piloti che hanno raccolto poco. Non basta l’impegno, altrimenti un pilota come Tito Rabat sarebbe in testa ogni domenica. Non basta nemmeno la moto migliore o tra le più competitive, e uno come Pedrosa potrebbe redigere un manuale su questo argomento. Serve tutto e tutto insieme e deve metterci lo zampino anche la fortuna perché quella non guasta mai.
Molto ha anche voluto dire la carriera di Marc Marquez perché prima di lui ai piloti veniva perdonato di più. C’erano tempi più lunghi di assestamento tra una categoria e l’altra, ma dopo che lo spagnolo è arrivato in MotoGP ed ha vinto il titolo (tutto nello stesso anno) sembra che qualunque cosa sia diventato una lotta contro il tempo: adattarsi e vincere subito. Queste sono le parole chiave del motociclismo moderno e quindi sembra non esserci più spazio per chi lavora e cresce in modo diverso.
Cosa fare quindi per tutti i piloti che non sono competitivi nella loro classe attuale? Questo non è dato saperlo, forse solo il tempo lo dirà. Ma di certo rivitalizzare la Moto2 potrebbe essere una risposta, riportarla ai fasti della vecchia 250 che era una categoria con un seguito e un’importanza diversa rispetto ad oggi. Non serviva soltanto per fare il passo successivo, come se fosse un limbo inevitabile.
Chi ha avuto la fortuna di vedere le gare di qualche anno fa sa che niente avevano da invidiare alla classe regina e che quei piloti il talento lo avevano eccome, e forse non sentivano la necessità suprema di andare a sfidare i mostri della 500. Forse basterebbe, come in passato, dare tempo ad ognuno di trovare il proprio modo di brillare.