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Uno smanettone sporco di fango
Ecco la storia vincitrice del contest “Dalla Pinna alla Penna – la tua esperienza più folle in moto”. Un biker che scopre il piacere dell’enduro: la libertà di fare strade che con la sportiva non aveva mai immaginato
Spesso i motociclisti ad un certo punto della loro vita si perdono. Diceva Dante Alighieri, “nel mezzo del cammin di nostra vita mi trovai in una selva oscura”. Già, come diceva Dante, a volte capita. A volte capita nella vita di un motociclista smanettone che per qualche motivo gli succede di desiderare di andarsene in giro con una enduro stradale e tenersi la sportiva per la pista. Ma cosa sarà mai successo nella testa di un motociclista per far accadere ciò? Forse l’età avanza ed il fisico non regge più i km scomodi? No! Allora si cresce e si conosce la paura che ci obbliga a più miti consigli? Non scherziamo! Dunque le regole stradali non ci fanno più godere dei nostri cavalli e quindi decidiamo di abdicare a meno selvaggi purosangue? Neppure! Allora crediamo di dividere la nostra vita con una compagna che ha bisogno di star più comoda? Impossibile, non sarebbe la compagna giusta! Forse si ha voglia di esplorare nuovi territori e la nostra amata carenata non ci accompagnerebbe? Non esattamente! Bene, la risposta, la mia risposta l’ho trovata e sono diventato “uno smanettone sporco di fango!”
Le corse per strada e la voglia di libertà. La velocità, quella vera che se sbagli è un attimo e non ci sei più. Le intemperie, quelle toste che ti ghiacciano la pelle e ti entrano nel cuore. Da ragazzetto, e pure oggi sempre da ragazzetto perché l’amore per le moto rende immortale lo spirito di un appassionato che così non vuol saperne di invecchiare, sono sempre stato un motociclista di quelli tendenti all’estremo, in tanti sensi:
1. Non mi tiravo indietro se c’era da fare a carenate per strada, ricordo quella sensazione di adrenalina assoluta nel correre senza pensare ai pericoli, mi sembra ancora adesso di sentire, se ci penso, quella specie di elettricità, quel cambiamento nella percezione del corpo che sfociava nel sentirsi tutt’uno con il mezzo che in quel momento altro non era che un amplificatore di emozioni, di quelle che solo uno smanettone sa di cosa parlo!
2. Se c’era il cattivo tempo uscivo ugualmente, anzi a volte mi piaceva sentire la natura che s’arrabbiava e rovesciava acqua, grandine e anche la neve qualche volta. Mi piaceva sentirne la potenza e la maestosità direttamente sulla pelle, mi faceva sentire vivo, me stesso, mi faceva intendere quanto piccolo fossi al suo cospetto, e quel timore reverenziale che si prova nei suoi confronti mi “accendeva” qualche cosa di inspiegabile, qualcosa che mi faceva sentire quanto forte e potente nella sua piccolezza fosse il battito del mio cuore.
3. Se non c’era meta mi divertivo quasi di più, semplicemente per il puro piacere di andare; poi quella sensazione di libertà, qualsiasi tipo di problema avessi, dal banale al più serio, mi ricordo che svaniva non appena salivo in sella e guidavo. Che corressi o ammirassi il paesaggio, la moto risolveva tutti i miei problemi, almeno quelli mentali.
A volte cercavo di inserirmi in una qualche categoria di motociclisti ma puntualmente non centravo mai tutto per intero. Pensavo ai viaggiatori, a quelli che fanno km su km per il puro sfizio di vedere cose nuove e mi dicevo: “Ma questi mica hanno capito che le moto servono a fare le pieghe.. compratevi l’auto tanto non sapete pilotare!”. Pensavo agli smanettoni: “Si, brava gente però, non guardano mai un paesaggio e se piove han paura di bagnarsi il culo!”.
Poi c’erano gli enduristi e i crossisti. Ho sempre pensato che fosse gente cazzuta, gente con le palle, però gli mancava qualcosa, gli mancava la velocità ed io amo il vento che urla. Ai customisti non c’ho mai pensato: non me ne vogliano, li ho sempre un po’ amichevolmente derisi. Senza offesa però, conscio di non riuscire in prima persona ad apprezzare ciò in cui invece loro riescono.
A quelli che comprano la moto per andarci al bar o farci uscire la fidanzata di turno, dedico solo un pensiero: “Compratevi un’auto e basta. Al massimo compratevene due!”. Insomma non sono mai riuscito a trovare l’indirizzo giusto. Mi piaceva correre, uscire col diluvio, guardare i paesaggi, fare anche lo sborone fuori dai bar se proprio devo dirla tutta (ma solo dopo aver fatto centinaia di km), perdio gente c’ho pure fatto l’amore sulla moto!
Poi il tempo passa e qualcosa capita che cambi. Mai nessun incidente, banale o meno ha mai frenato la mia voglia di correre. Però, però man mano ho cominciato a girar meno il gas per strada e di più in pista. Altre soddisfazioni, più pieghe, più staccate, lì si che si guida davvero una moto!
Non sono un bugiardo e devo cantarvela proprio tutta: è anche vero che il mio cuore come batteva sulla “forca d’acero” o in “costiera amalfitana”, tra un’auto un muretto un burrone e qualche altra moto a cui cercavi di dare qualche metro, non ha più battuto. Nonostante ciò, correre in pista è davvero fantastico! Probabilmente, come dice il mio caro amico “Misterfast”, lo farò fino 60 anni! Invece per strada non lo faccio più, ho capito che è da stupidi, che è una mancanza di rispetto per il prossimo ed allo stesso tempo non ho più neanche il coraggio.
Tornando a noi, vi dicevo che crescendo, estremizzando questo mio lato sportivo, questa mia irrefrenabile voglia di correre e di ascoltare il vento e la moto che urlano insieme, in un duetto sublime che solo un moto-innamorato e adrenalin-dipendente possa apprezzare, ho perso un po’ di vista le passeggiate. Uscire per strada in moto, visto che per strada non ci correvo più, aveva un po’ perso quella sua magia, o peggio cominciavo a temere di essere cambiato io! Cominciavo a credere di essere divenuto un “vero smanettone”! Senza offesa per nessuna categoria, se così fosse stato avrei pensato ad un Ivan “motociclisticamente” ridotto. L’avrei vissuto come un passo indietro.
Correva l’anno 2005. Le mie uscite cominciavano a non darmi più quelle emozioni stupende. Esco col passeggero, non corro? Allora torno a casa insoddisfatto (tipo adolescente che fa sesso senza raggiungere l’orgasmo). La strada è brutta e non si piega? Che sono uscito a fare! Piove e fa freddo? Rimandiamo l’uscita! Insomma mi stava succedendo questa cosa terribile. Sembrava un incubo. E per me che ogni sera penso alle motociclette e a come le vivo, era davvero grave. Dovevo capire. Dovevo fare qualcosa di nuovo. Poi mi son ricordato di aver un sogno motociclistico nel cassetto: possedere due moto! Una per la pista e una per la strada. Il problema era quale scegliere.
Gsxr per la strada e ninja per la pista? Rsv per la pista e ninja per la strada? Tante idee mi rombavano nel cervello ogni notte. Poi, un po’ per la mia fantastica passeggera (divenuta poi pilota, e poi anche moglie), e vi confesso, sopratutto per me stesso, ho provato questa cosa nuova: l’enduro stradale.
Gente, per chi si fosse annoiato di leggere, termino qui con una piccola frase che riassume tutto: con l’enduro sono tornato bambino! Per chi invece continua a leggere, cercherò di spiegarmi meglio. Fermo restando che ho deciso di mantenere una supersportiva per la pista, assolutamente necessaria a smaltire l’accumulo della voglia di adrenalina, del vento e della velocità, senza estinguere la quale non riesco a guidare in maniera, come dire, salutare, se non per un brevissimo periodo di km.
1. Ho ritrovato il piacere di guidare godendo anche senza correre.
2. Sento di nuovo la voglia di andare per il puro gusto di spostarmi e senza avere una mèta precisa.
3. Percepisco di nuovo la natura sulla pelle e non vivo più le intemperie come mi succedeva nell’ultimo periodo, cioè come un impedimento al piacere della moto.
4. In più, rispetto a prima, sento il piacere del viaggio senza avvertire più quel tremendo limite invalicabile rappresentato dal percorso non asfaltato e quindi impraticabile.
In altre parole mi sento ancora più libero! Unica controindicazione, dettata forse dal mio “esser smanettone nell’animo”, è quella di sentire la voglia (e soprattutto la necessità di soddisfarla) di andare a cercare percorsi non asfaltati, magari sentieri che non si sà dove portino ma che ti diverti ad andarci perché magari, in qualche modo porti la moto enduro al limite in un ambiente a lei consono! O forse perché quando l’anima del motociclista non sente il limitatore del contagiri, allora ha almeno bisogno di non sapere dove porta la strada che sta facendo e soprattutto dove la sua forza e la sua capacità lo farà arrivare.
Ma questa è, o meglio diventerà, un’altra storia, ed oggi non è ancora stata scritta. In ogni caso, col vento o col fango, ancora una volta dopo migliaia e migliaia di km, dopo tanti anni di vita, la moto mi fa di nuovo essere bimbo, con la voglia enorme di scoprire la vita e sopratutto di viverla.
Tra i cordoli o nello sterrato continuo ad essere me stesso, un bimbo motociclista che continua a cercare la sua libertà.
– Ivan Muti –
ivan.muti@libero.it