MotoGP
Perchè la sindrome compartimentale colpisce i piloti in MotoGP
Tantissimi piloti in MotoGP stanno manifestando un problema fisico che prima non esisteva. E’ la sindrome compartimentale e uno dei pochi a non averne mai sofferto è Valentino Rossi
Qualche anno fa, i piloti della 500 GP si infortunavano a causa di una caduta violenta. Molto spesso a causa di un High Side, oppure per un violento impatto nella via di fuga. Capitava spesso ai piloti di quell’epoca di finire in sala operatoria per fratture di vario genere, spesso correlate all’endemica difficoltà di portare al limite dei mezzi come le 500 due tempi, potentissime e leggerissime. Dei mezzi davvero pericolosi, da trattare esclusivamente dando del lei. Da quando nel motomondiale ha fatto il suo ingresso la MotoGP, con le grosse quattro tempi, i piloti hanno iniziato ad entrare in sala operatoria anche senza essersi infortunati in moto. La ragione ha un nome preciso ed è sindrome compartimentale. Se cercate sul web la definizione che accompagna questa patologia, scoprirete che si tratta di una condizione di dolore costante causato da un aumento di pressione all’interno di un compartimento muscolare. Si caratterizza da due diverse condizioni, ovvero acuta o cronica. Quando si manifesta, blocca letteralmente il muscolo colpito e nel caso dei piloti si parla degli avambracci, sottoposti a sollecitazioni estreme.
Questo problema si sta verificando con sempre maggiore frequenza negli ultimi anni a causa soprattutto dell’aumento del peso e della potenza delle moto, che richiedere una maggior forza nella guida. Lo sforzo eccessivo degli avambracci in frenata, in accelerazione e nei cambi di direzione, porta molto facilmente alla condizione di “sindrome compartimentale”, nonostante i piloti di oggi siano allenati esattamente come degli olimpionici. Per comprendere il livello di preparazione fisica dei piloti di oggi, ricordiamo un episodio che vide come protagonista Chris Vermeulen, all’epoca compagno di Team di Loris Capirossi in Suzuki MotoGP.
L’australiano raggiunse la squadra olimpionica di nuoto dell’Australia e si sottopose agli stessi identici test fisici cui venivano sottoposti i fenomeno australiano del nuoto in vasca. I risultati di quel test, lasciarono letteralmente senza parole i preparatori atletici, che dovettero ammettere che il rider MotoGP poteva vantare una preparazione fisica sullo stesso piano dei cugini australiani impegnati nel nuoto. Eppure, nonostante questa condizione atletica da riferimento, anche Vermeulen dovette sottoporsi all’operazione per arginare la sindrome compartimentale prima di dover deporre le armi e ritirarsi dalle gare.
La lista di piloti che si sono sottoposti all’intervento per limitare il problema è molto lunga, ma il nome più illustre della griglia di partenza manca ed è quello di Valentino Rossi. E’ lo stesso pilota a spiegare come mai la sindrome compartimentale sia un problema che non l’ha mai riguardato in oltre venti anni di motomondiale: «Non ho mai avuto un problema del genere, perchè penso di aver sempre lavorato bene per evitarlo. Cosa si deve fare per evitarlo? E’ semplice, bisogna lasciar rilassare i muscoli. Ma è anche molto importante il modo in cui si guida la moto. Io guido più dolcemente e risparmiando più energie rispetto alla maggior parte dei miei rivali in pista. Cerco di evitare di stressare troppo il fisico con il mio modo di guidare, così non ho mai avuto problemi con la sindrome compartimentale».
La sindrome compartimentale non è un problema da sottovalutare e spesso si presenta in maniera subdola. Due anni fa, dopo l’operazione Dani Pedrosa aveva dichiarato: «Questo dipende dalla gravità del problema. Alcuni lo sentono solo in gara. Ho avuto questo problema ogni volta che oscillavo sulla moto. L’ho avuto in allenamento, durante le gare ma anche di notte avevo un grande dolore. Dopo che i muscoli sono stati stressati così in gara, ho capito che non dovevo più abusare del mio corpo. Ho sofferto molto. Questo si diffonde allo status mentale. Fisicamente è difficile, perché non è più possibile controllare la tua mano ma mentalmente è ancora peggio».